ETF STHY: Analisi Completa di un ETF ad Alto Rendimento in Dollari USA

Mettetevi comodi, perché questa non è la solita analisi tecnica su un prodotto finanziario. Questa è una storia. È la storia di migliaia di investitori, forse anche la vostra, che un giorno hanno deciso di cercare qualcosa di più del semplice guadagno in conto capitale. Cercavano un flusso, una regolarità, una sorta di stipendio automatico che arrivasse ogni mese, puntuale come un orologio svizzero. Cercavano la rendita passiva.

E in questa ricerca, quasi tutti si sono imbattuti in due nomi, due sigle diventate quasi leggendarie nei forum di finanza e nei gruppi social: STHY STHE. Due ETF gemelli di PIMCO, entrambi focalizzati su obbligazioni societarie americane ad alto rendimento (le famose high yield), entrambi con una promessa quasi magica: un dividendo ogni trenta giorni.

La chiamano, con un affetto quasi paterno, l’arte del “cedolare”. L’idea è semplice e potente: accumulare quote di questi strumenti per costruirsi, mattone su mattone, un’entrata mensile che integri lo stipendio o, un giorno, lo sostituisca del tutto. Ma dietro questa promessa si nasconde un bivio, una scelta che ha diviso la community degli investitori e che, a distanza di anni, sta mostrando le sue conseguenze, a volte dolorose. Da una parte la via della prudenza apparente, dall’altra quella del rischio calcolato. Una scelta che ha trasformato un investimento apparentemente tranquillo in un vero e proprio caso di studio sulla psicologia dei mercati e sui costi che non sempre sono scritti a caratteri cubitali sul prospetto.

Investire in Dividendi

La Promessa di una Rendita Mensile: L’Irresistibile Fascino degli ETF PIMCO

Per capire il dibattito, dobbiamo prima capire l’attrazione. Immaginate di investire e, invece di controllare ossessivamente il valore del vostro portafoglio sperando in un +0,5% giornaliero, attendete semplicemente la notifica della vostra banca: “Accreditato dividendo”. Mese dopo mese. C’è qualcosa di profondamente rassicurante in questo meccanismo. È tangibile, è concreto.

L’ETF STHY (IE00B7N3YW49) e il suo gemello, l’ETF STHE (IE00BF8HV600), rispondono esattamente a questa esigenza. Investono entrambi in un paniere diversificato di “junk bonds” americani a breve scadenza (generalmente tra 1 e 5 anni). La bassa duration li rende meno sensibili ai terremoti sui tassi d’interesse, un dettaglio non da poco negli ultimi anni. La loro popolarità è esplosa perché offrivano un rendimento decente in un’era di tassi a zero, quando trovare un’alternativa ai conti deposito era un’impresa.

total return sthy
Total return Etf STHY

Ma qui arriva la differenza cruciale, il dettaglio che ha alimentato fiumi di discussioni online. STHY è denominato in dollari e non ha alcuna protezione contro le fluttuazioni del cambio EUR/USD. Se il dollaro si rafforza, un investitore europeo guadagna. Se si indebolisce, perde. STHE, invece, è hedged, ovvero coperto dal rischio di cambio. Sulla carta, la scelta perfetta per chi vuole dormire sonni tranquilli. Ma, come spesso accade in finanza, la tranquillità ha un prezzo. E nessuno si aspettava che fosse così alto.

Il Dilemma Amletico dell’Investitore Europeo: Copertura Sì o Copertura No?

All’inizio, la scelta sembrava scontata. “Perché dovrei rischiare sul cambio?”, si chiedevano in molti sui forum. “Ho già il rischio del mercato high yield, non voglio aggiungerne un altro. Prendo STHE e vivo felice”. Una logica inattaccabile, soprattutto per chi ha un orizzonte temporale più breve o semplicemente detesta la volatilità. Molti, infatti, hanno iniziato a costruire i loro portafogli “da rendita” proprio su questo ETF, vedendolo come il pilastro della loro strategia.

Eppure, voci più esperte iniziavano a sollevare un dubbio. “Se il tuo orizzonte è di dieci, vent’anni”, si leggeva tra le righe di interventi più ponderati, “e accumuli con un PAC, le oscillazioni del cambio tendono a mediarsi. Un dollaro debole ti permette di comprare più quote a parità di euro. Un dollaro forte aumenta il valore di quelle che hai già. Alla lunga, il gioco si equilibra”. Questo punto di vista, inizialmente minoritario, suggeriva che pagare per la copertura valutaria fosse una spesa superflua, un lusso che erodeva il rendimento finale.

Per anni, il dibattito è rimasto teorico, una questione di filosofia d’investimento. Fino a quando gli investitori hanno iniziato a guardare i grafici. E si sono accorti di qualcosa di strano. Qualcosa che non tornava.

JPMorgan JEPQ

La Lenta Scoperta: Quel Costo Nascosto che Erode il Capitale

“Scusate, ma perché il prezzo di STHE scende sempre?”. Questa domanda, comparsa a più riprese nelle discussioni online, ha segnato il punto di svolta. Mentre il valore di STHY (espresso in dollari) tendeva a lateralizzare nel lungo periodo, preservando il capitale, quello di STHE mostrava un’inesorabile, lenta, ma costante discesa. Partito da quota 100, anno dopo anno ha perso terreno, toccando gli 80, poi i 75, creando un solco sempre più profondo.

All’inizio, molti davano la colpa ai dividendi. “È ovvio”, dicevano, “paga cedole generose, è normale che il prezzo scenda”. Ma il confronto con il gemello non coperto non reggeva. C’era qualcos’altro. La risposta, emersa lentamente grazie all’analisi di investitori più meticolosi, era tanto tecnica quanto brutale: il costo della copertura valutaria.

Questo costo non è il TER, che per STHE è già leggermente più alto (0,60% contro lo 0,55% di STHY). È un costo implicito, “nascosto”, che dipende dal differenziale tra i tassi d’interesse a breve termine dell’Eurozona (Euribor) e quelli degli Stati Uniti (Libor/SOFR). In parole semplici, quando i tassi americani sono più alti di quelli europei – come è stato quasi costantemente nell’ultimo decennio – coprirsi dal rischio dollaro ha un costo. Un costo salato, stimato in media tra l’1,5% e il 2% all’anno.

Questo 2% non viene addebitato sul conto. Semplicemente, erode giorno dopo giorno il valore della quota dell’ETF. È una tassa silenziosa, un’emorragia lenta che, anno dopo anno, ha creato un divario abissale. Si è scoperto che la “tranquillità” della copertura non era gratis. Anzi, era uno dei servizi più cari sul mercato.

iemb vs embe

I Numeri non Mentono: Dati e Grafici di una Divergenza Annunciata

Quando si mettono a confronto i due ETF, l’impatto di questo costo diventa evidente. Un’analisi approfondita, che circola da tempo tra gli appassionati, mostra che in circa dieci anni si è creato un differenziale di performance in conto capitale di quasi il 40% tra STHY (in dollari) e STHE. Un divario talmente grande che ormai sembra quasi incolmabile.

Ma l’erosione non si ferma al capitale. Colpisce anche il cuore della strategia: i dividendi. Se il valore di una quota di STHE è del 20% più basso rispetto al suo potenziale senza copertura, a parità di rendimento del paniere di obbligazioni sottostante, anche il dividendo che può distribuire sarà proporzionalmente inferiore. Ecco perché, convertendo in euro i dividendi di STHY, questi risultano quasi sempre più alti di quelli di STHE.

L’aumento dei tassi dal 2022 ha temporaneamente mascherato il problema, pompando i dividendi di entrambi gli ETF a livelli record (con STHE che ha superato i 0,54€ e STHY i 0,69$ a marzo 2024). Questo ha dato una boccata d’ossigeno a chi era incastrato con prezzi di carico alti, ma non ha cambiato la dinamica di fondo. La zavorra della copertura è sempre lì, pronta a farsi sentire non appena i tassi si stabilizzeranno o scenderanno.

È una lezione potente: nel lungo periodo, il costo certo e costante della copertura si è rivelato più dannoso della volatilità incerta del cambio valutario.

La Psicologia del “Cedolatore”: Tra Euforia, Panico e la Svolta Strategica

Le discussioni su questi ETF sono uno spaccato incredibile della psicologia umana applicata alla finanza. Si passa dall’euforia collettiva quando la FED annuncia interventi che fanno “volare il ciofegone” (un termine affettuoso e dispregiativo usato per STHE), al panico durante i crolli, come quello del Covid-19, quando qualcuno si chiede terrorizzato: “Ma quando è successo che ha fatto -50%?”.

Abbiamo visto investitori, presi dall’emotività, contraddirsi nel giro di poche settimane, passando da una fede incrollabile nel lungo termine alla tentazione di vendere tutto per limitare le perdite. Ma abbiamo anche visto la saggezza della community prevalere. L’analogia più bella è forse quella dell’affitto di una casa: “Ci sono mesi in cui devi fare dei lavori e spendere soldi, ma alla lunga il flusso di cassa mensile ripaga di tutto”.

Questa filosofia ha portato alla strategia oggi dominante tra gli investitori più navigati:

  1. Privilegiare STHY per il lungo termine: Accettare la volatilità del cambio come un “costo del biglietto” per un rendimento superiore e la preservazione del capitale.
  2. Sfruttare le discese: Non vedere i cali di prezzo come una tragedia, ma come un’opportunità d’oro. Un prezzo più basso permette di abbassare il proprio prezzo medio di carico (PMC) e di acquistare più quote, che a loro volta genereranno dividendi maggiori in futuro.
  3. L’abbandono di STHE: Sempre più investitori, dopo aver capito la dinamica dell’hedging, stanno compiendo il passo di vendere le loro posizioni in STHE, spesso accettando una perdita in conto capitale, per migrare su STHY. Un’operazione descritta come “via il dente, via il dolore”, una scelta strategica per fermare l’emorragia e posizionarsi su uno strumento ritenuto strutturalmente più efficiente.

Conclusione: Oltre l’ETF STHY, Verso una Rendita Consapevole

La storia di STHY e STHE è molto più di un semplice confronto tra due ETF. È un monito sull’importanza di guardare oltre la superficie, di comprendere i costi nascosti e di non dare mai nulla per scontato. Ci insegna che la “sicurezza” ha sempre un prezzo e che, a volte, il rischio più grande è proprio quello di cercare di evitarli tutti.

L’ETF STHY si è dimostrato, per la maggior parte degli investitori con un orizzonte lungo, la scelta più razionale. Non è uno strumento perfetto – è pur sempre esposto al mercato high yield, che è correlato all’azionario, e alla valuta – ma la sua struttura è più trasparente e, storicamente, più remunerativa.

Per chi sta costruendo un portafoglio a distribuzione oggi, la lezione è chiara: il rischio cambio tra euro e dollaro, su un arco di decenni, è probabilmente un nemico meno temibile di un costo di copertura che agisce come una tassa silenziosa e perpetua.

Naturalmente, questi ETF non sono le uniche opzioni. Molti li affiancano a strumenti sui bond emergenti come IEMB o VEMT per diversificare ulteriormente. Ma la logica di fondo non cambia. La vera vittoria, per un investitore, non è indovinare il timing perfetto del mercato, ma costruire una strategia solida, basata sulla comprensione profonda degli strumenti che utilizza. E, soprattutto, avere la disciplina e la pazienza di portarla avanti, mese dopo mese, cedola dopo cedola.

Fate le vostre ricerche, siate critici, e non smettete mai di imparare. Perché, in finanza, la conoscenza è l’unico vero hedge che non costa nulla.

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