Immagina questa scena. Un risparmiatore, chiamiamolo Marco, si trova di fronte a un bivio. Ha lavorato sodo, ha messo da parte un capitale e ora vuole farlo fruttare. Non ha ambizioni da lupo di Wall Street; il suo obiettivo è semplice, quasi banale: un portafoglio “pigro”, un PAC azionario per il lungo termine e qualche obbligazione sicura. Un piano saggio, equilibrato. Si rivolge a dei professionisti e la proposta che riceve è quasi sempre la stessa: una parcella che si aggira intorno all’1% del suo capitale, ogni anno.
È qui che inizia il tormento di Marco, un tormento che risuona nelle discussioni online, sui social e nelle conversazioni tra amici. “Una volta che ho impostato il tutto,” si chiede, “poi è necessario l’anno successivo? Il timore è che alla fine quel che guadagno col ribilanciamento finisca dritto in tasca al consulente”.
Questa non è la storia di Marco. È la storia di milioni di italiani. È la tua storia. La domanda “consulente finanziario si o no?” non è una semplice scelta tecnica; è una voragine di dubbi, paure e speranze che tocca le fondamenta del nostro rapporto con il denaro e con il futuro.

Il Vero Valore: Medico dell’Anima o Architetto del Portafoglio?
La prima, grande illusione da smontare è che il consulente sia solo un tecnico, un mero selezionatore di ETF e fondi. Molti investitori, infatti, cercano altro. Come ha ammesso un risparmiatore in una recente discussione, la figura del consulente viene spesso vista come uno “psicoterapeuta”, qualcuno che ti tenga a bada quando arriverà “l’apocalisse stile 2008”.
Questa non è un’esagerazione. Il più grande nemico dei nostri investimenti non è il mercato, ma siamo noi stessi. La nostra tendenza al panico durante i crolli e all’euforia eccessiva durante i rialzi è la principale causa di disastri finanziari. In questo senso, un buon professionista agisce come un “bravo capitano per condurre la nave”, come lo ha definito un altro investitore, mantenendo la rotta anche nei mari più tempestosi.
Tuttavia, ridurre tutto al supporto psicologico sarebbe un errore. Come sottolinea un professionista del settore, la finanza comportamentale è solo una parte del lavoro. Il vero valore aggiunto sta nello “smazzarsi il lavoro”: l’analisi degli strumenti, la comprensione delle loro dinamiche, la capacità di costruire un portafoglio sartoriale che non si limiti a replicare un modello standard, ma che si adatti come un abito su misura alle tue reali esigenze. Significa conoscere la differenza tra un’obbligazione a tasso fisso e una a tasso variabile, e sapere quando è il momento giusto per privilegiare l’una o l’altra. Significa saper gestire un carico di minusvalenze pregresse, un problema concreto per moltissimi risparmiatori.
Il consulente di valore non è né solo un tecnico né solo uno psicologo. È un architetto che progetta una struttura solida (il portafoglio) e un ingegnere che ne testa la resilienza emotiva (la tua), assicurandosi che tu sia in grado di abitarla senza farla crollare al primo terremoto.

La Domanda da un Milione di Euro: Quanto Costa Davvero un Consulente?
E arriviamo al tasto dolente, il catalizzatore di ogni dubbio: il costo. Quel famoso 1% annuo è tanto o è poco? La risposta, purtroppo, è: dipende. Un consulente esperto ha fatto notare che quell’1% può essere “oro colato” se ti ha impedito di vendere tutto in preda al panico durante il crollo del 2020, permettendoti di partecipare al successivo, straordinario recupero.
Il problema, però, è che spesso il costo visibile è solo la punta dell’iceberg.
Recentemente, in una discussione online, è emersa la storia emblematica di una ragazza. Aveva ricevuto un indennizzo per la morte del padre, una cifra carica di valore emotivo, e l’aveva affidata dieci anni fa al “consulente di famiglia” di Fideuram. Partita da 100.000 euro, più un versamento successivo di 15.000, si è ritrovata dopo un decennio con 117.678 euro. Un guadagno di poco più di 2.000 euro in dieci anni. Dieci anni in cui i mercati globali sono esplosi.
Cosa è successo? Analizzando il portafoglio, la risposta era chiara: era zeppo di fondi a gestione attiva con costi altissimi, fino al 3% annuo. In più, il consulente, che si spacciava per “indipendente”, effettuava ribilanciamenti annuali che, secondo il sospetto di molti, servivano più a generare nuove commissioni di ingresso che a ottimizzare il portafoglio.
Questa storia non è un’eccezione, è la norma per una fetta enorme del risparmio gestito in Italia. Il guadagno c’è stato, ma è finito quasi interamente nelle tasche dell’intermediario. Si parla di modelli “Fee On Top”, un’espressione inglese che suona elegante ma che, come ha argutamente notato un commentatore, significa semplicemente “ti aggiungo una commissione sopra tutte le altre che già paghi”. Il costo totale, tra commissioni di gestione, di performance, di ingresso e di consulenza, può facilmente arrivare al 4%, 5% o persino al 6% annuo. A queste condizioni, non c’è investimento che tenga. È come cercare di riempire un secchio bucato.

La Linea di Faglia: Indipendente vs. Legato a una Rete
Questa dinamica ci porta al cuore del problema: il conflitto di interessi. È la grande linea di faglia che spacca in due il mondo della consulenza.
Da una parte c’è il Consulente Finanziario Abilitato all’Offerta Fuori Sede (CFAOFS), comunemente noto come promotore finanziario o consulente bancario. Lavora per una banca o una rete e la sua remunerazione, in gran parte, deriva dalle commissioni sui prodotti che vende. Come ha amaramente osservato un professionista, “il 90% sono venditori o peggio, accaparratori di guadagni su patrimoni altrui”. Questo non significa che siano tutti disonesti. Molti sono professionisti etici che, come testimoniato in prima persona da alcuni di loro, combattono quotidianamente contro le pressioni commerciali per fare l’interesse del cliente. Ma il sistema stesso li mette in una posizione difficile: se la loro carriera e i loro bonus dipendono dalla vendita di prodotti costosi, come possono consigliare un semplice ed economico ETF?
Dall’altra parte c’è il Consulente Finanziario Autonomo (CFA), o consulente indipendente. La sua caratteristica fondamentale è che viene pagato esclusivamente dal cliente, a parcella. Non riceve alcuna provvigione da banche o case di gestione. Questo piccolo, enorme dettaglio cambia tutto. Un consulente indipendente può consigliarti di non investire affatto, di tenere i soldi sul conto, di comprare un BTP e basta, o di costruire un portafoglio con ETF a bassissimo costo. Il suo compenso non cambia. Il suo unico interesse è la tua fiducia e la qualità del suo lavoro, perché il suo unico datore di lavoro sei tu.

Ma Se Volessi Solo un Portafoglio Pigro? Il Paradosso della Semplicità
Torniamo a Marco, il nostro risparmiatore. Il suo obiettivo è semplice. Potrebbe comprare un ETF come il Vanguard Lifestrategy 60/40, fare un PAC e non pensarci più, risparmiando l’1% di parcella. È una strada percorribile? Assolutamente sì, a una condizione: avere la disciplina d’acciaio per non deviare dalla rotta, mai.
Eppure, qui si nasconde un paradosso psicologico affascinante. Un professionista con anni di esperienza lo ha spiegato in modo brillante: immagina di pagare un consulente 3.000 euro all’anno per un portafoglio di 3 ETF. Dopo un anno, potresti pensare: “Sto pagando 3.000 euro per qualcosa che potrei fare da solo?”. Probabilmente lo saluteresti.
Ora immagina un altro consulente. Per giustificare la stessa parcella, ti costruisce un portafoglio con 15 ETF, 10 titoli azionari e 7 obbligazioni. Ogni volta che vi sentite, c’è qualcosa da discutere, da analizzare, da ribilanciare. Il lavoro percepito è enorme. In questo caso, saresti molto più propenso a pagare, pensando “questo sì che è un esperto”. Il problema? Il secondo portafoglio, nella sua complessità, è quasi certamente meno efficiente del primo.
Spesso, siamo disposti a pagare per la complessità, non per l’efficacia. Un buon consulente ti protegge anche da questo tuo bias, proponendoti la soluzione più semplice e sensata, anche se questo significa dover giustificare il valore del suo lavoro in modi meno tangibili, come la disciplina e la serenità che ti offre.

Consulente Finanziario Si o No? Tiriamo le Somme
Alla fine del viaggio, la risposta non può essere un “sì” o un “no” universale. La risposta dipende da te.
Il consulente è un “SÌ” se:
- Non hai tempo, voglia o competenze per studiare e gestire autonomamente i tuoi soldi.
- Sei consapevole di essere emotivo e sai che al primo crollo saresti tentato di vendere tutto.
- La tua situazione finanziaria è complessa: hai minusvalenze da recuperare, un patrimonio articolato, obiettivi di pianificazione successoria o fiscale.
- Cerchi un architetto finanziario, qualcuno che non si limiti a venderti mattoni (i prodotti), ma che progetti con te l’intera casa (il tuo futuro finanziario).
Il consulente è un “NO” (o può essere limitato a una consulenza spot iniziale) se:
- Hai la passione, il tempo e la disciplina per dedicarti alla tua formazione finanziaria.
- Il tuo obiettivo è un semplice portafoglio “pigro” con pochi ETF diversificati.
- Hai la freddezza emotiva per sopportare la volatilità dei mercati senza farti prendere dal panico.
- Hai capito che il costo è un fattore determinante e sei in grado di costruire e mantenere in autonomia un portafoglio a basso costo.
La verità è che l’industria del risparmio gestito ha prosperato sull’opacità e sull’asimmetria informativa. Oggi, però, le informazioni sono a portata di click. Che tu scelga di farti affiancare da un professionista o di camminare con le tue gambe, l’investimento più importante che puoi fare non è in azioni o in obbligazioni. È in te stesso.
La consapevolezza è la prima, e più potente, forma di tutela. E quella, nessuno può venderla a parcella.