investire in una farmacia

Investire in Farmacia Conviene ancora nel 2025? La Verità su Costi, Ricavi e la Fine di un’Era Dorata

C’era una volta il “Bengodi”. Forse te lo ricordi anche tu, o forse te l’hanno raccontato i tuoi genitori con quella punta di invidia mista a riverenza. La farmacia non era un’azienda; era un feudo. Un bancomat a cielo aperto. Bastava avere la licenza appesa al muro, una croce verde accesa fuori e il gioco era fatto: margini stellari, rischio d’impresa inesistente, payback dell’investimento in tre anni e la certezza di sistemare figli e nipoti per le generazioni a venire.

Se sei un giovane professionista oggi, magari incastrato in una carriera corporate che ti sta stretta o con un capitale da far fruttare che viene eroso dall’inflazione, è probabile che tu abbia guardato a quel mondo con interesse. Dopotutto, la gente si ammala sempre, giusto? È un business anticiclico per eccellenza.

Ma se ti stai chiedendo se investire in una farmacia conviene ancora oggi, devi essere pronto a una doccia fredda di realismo. Il quadro che emerge osservando il mercato attuale, ascoltando i rumors dei corridoi finanziari e analizzando i bilanci, è radicalmente diverso dalla favola degli anni Duemila. Non siamo più di fronte a una rendita di posizione, ma a una trincea imprenditoriale.

In questo articolo dissezioneremo il “cadavere” di quel vecchio modello di business per capire se, sotto la cenere, c’è ancora una brace che vale la pena soffiare o se è meglio scappare a gambe levate.

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Quanto vale davvero una farmacia oggi? Il crollo dei moltiplicatori

Per capire se l’affare sta in piedi, dobbiamo partire dai numeri, quelli che non mentono. Fino a quindici anni fa, una farmacia si vendeva a peso d’oro. Le valutazioni viaggiavano su multipli folli: si parlava di 2 o addirittura 2,5 volte il fatturato annuo. Significava che per comprare un’attività che incassava un milione, dovevi sborsarne due e mezzo. E le banche finanziavano, perché il flusso di cassa era considerato sacro e inviolabile.

Oggi? Quella bolla è esplosa, silenziosamente ma inesorabilmente.

La realtà del 2024-2025 ci parla di un mercato in deflazione strutturale. Le farmacie urbane e rurali vengono scambiate a cifre che oscillano tra 0,8 e 1 volta il fatturato. In alcuni casi, per le sedi più piccole o mal gestite, si scende anche sotto. Chi ha comprato ai massimi storici, magari indebitandosi fino al collo pensando di aver acquisito un vitalizio, oggi si trova con il cerino in mano: un asset che vale la metà di quanto l’ha pagato e margini operativi che non coprono più il servizio del debito.

Perché questo crollo verticale?
La risposta è un mix letale di fattori. I margini sui farmaci etici (quelli con ricetta) sono stati erosi dalle politiche di contenimento della spesa pubblica e dall’esplosione dei farmaci generici, che costano una frazione degli originali “griffati”. Inoltre, la distribuzione diretta da parte delle ASL dei farmaci ad alto costo (quelli per patologie croniche o gravi) ha tolto alle farmacie la fetta più ricca della torta, lasciando loro le briciole della gestione burocratica.

Acquistare oggi significa comprare a sconto rispetto al passato, è vero. Ma significa anche entrare in un mercato dove il rischio di fallimento – una parola che un tempo non esisteva nel vocabolario del farmacista – è diventato una possibilità concreta, con concordati preventivi che iniziano a fioccare anche in città ricche come Milano.

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La “Fuga dai Camici Bianchi”: La crisi del personale che nessuno ti racconta

Se pensi che il problema principale sia il costo della licenza o l’affitto dei locali, stai guardando il dito e non la luna. La vera bomba a orologeria per chi vuole investire in una farmacia oggi è il capitale umano.

C’è una narrazione diffusa che vede i titolari di farmacia lamentarsi di non trovare personale. Ma grattando sotto la superficie, emerge una verità più scomoda: il settore sta vivendo una vera e propria emorragia di talenti. Per anni, il ruolo del farmacista collaboratore è stato dato per scontato, spesso retribuito con stipendi fermi al palo (si parla di cifre intorno ai 1.300-1.500 euro netti per figure laureate e altamente specializzate) a fronte di orari massacranti, turni notturni e festivi.

Il risultato? I giovani laureati scappano.
Si rivolgono all’industria farmaceutica, che offre benefit, carriera e salari ben più alti. Oppure varcano il confine: in Svizzera o in Francia, lo stesso professionista può guadagnare il doppio o il triplo, con un riconoscimento sociale ben diverso.

Per un investitore, questo è un rischio operativo enorme. Puoi avere la location migliore del centro città, ma se non hai farmacisti qualificati al banco, capaci non solo di “passare la scatoletta” ma di fare consulenza e cross-selling, il tuo business non sta in piedi. E per attirarli oggi, devi essere disposto a pagare molto di più rispetto ai contratti nazionali, erodendo ulteriormente quell’utile netto che è già sotto pressione. La farmacia non è più un’azienda dove il personale è un costo fisso e prevedibile; è diventata un campo di battaglia per la retention dei talenti.

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La guerra dei prezzi: Amazon, le Catene e la fine del monopolio

Un tempo, il farmacista era l’unico depositario della salute nel quartiere. Oggi, il tuo concorrente non è solo la farmacia del rione accanto, ma è nel tuo smartphone.

La vendita online ha letteralmente cannibalizzato i margini sui prodotti a più alta redditività: integratori, cosmetici, prodotti per l’infanzia e farmaci da banco (SOP e OTC). È un bagno di sangue matematico: online si trovano sconti del 30%, 40%, fino al 50% su prodotti che la farmacia fisica deve vendere a prezzo pieno per coprire i costi di gestione (che si stima possano aggirarsi sui 60 euro l’ora solo per tenere la serranda alzata).

Perché un giovane consumatore dovrebbe comprare i fermenti lattici o la crema viso in farmacia a 20 euro, quando su Amazon o sui grandi portali di e-pharmacy li trova a 12 euro con consegna il giorno dopo?

E poi ci sono i “grandi predatori”. L’ingresso delle Società di Capitali e delle grandi catene internazionali (i nomi li conosciamo tutti, dai colossi britannici a quelli dell’Est Europa) sta ridisegnando la geografia del settore. Questi giganti non giocano ad armi pari: hanno economie di scala sugli acquisti che il singolo titolare si sogna, capacità di marketing aggressive e orari di apertura estesi (H24, 7 giorni su 7) che trasformano la farmacia in un convenience store della salute.

Investire oggi significa entrare in un’arena dove i pesci piccoli rischiano di essere mangiati, a meno che non abbiano una strategia di differenziazione fortissima.

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Da Dispensatori a “Hub della Salute”: L’unica via di uscita

Allora, è tutto nero? Non necessariamente. Esiste uno spazio per fare profitto, ma richiede un cambio di mentalità radicale. Se l’idea è quella di comprare una licenza e mettersi dietro il banco ad aspettare che entrino le ricette, il fallimento è quasi garantito.

La redditività della farmacia moderna non passa più dalla semplice vendita del farmaco, ma dalla trasformazione del punto vendita in un Hub della Salute.
Si parla della “Farmacia dei Servizi”: telemedicina, elettrocardiogrammi, holter pressorio, analisi di prima istanza (glicemia, colesterolo), tamponi, vaccinazioni.

Questo è l’unico fossato difensivo che Amazon non può (ancora) attraversare. Il valore aggiunto si sposta dal prodotto al servizio e alla relazione. Un investitore intelligente oggi non guarda solo al fatturato storico, ma al potenziale inespresso della farmacia nel diventare un punto di riferimento sanitario per il territorio, specialmente per una popolazione che invecchia e che trova nel farmacista un interlocutore più accessibile del medico di base o del pronto soccorso.

Ma attenzione: questo richiede competenze imprenditoriali vere. Bisogna saper gestire il magazzino (magari con robotizzazione per ridurre i furti e gli scaduti), fare marketing locale, gestire il personale come una squadra di vendita e non come magazzinieri. Il farmacista deve smettere di sentirsi un “notabile” intoccabile e iniziare a sentirsi un retailer avanzato.

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Conclusione: Una scommessa per chi ha fegato (e competenze)

Torniamo alla domanda iniziale: investire in una farmacia conviene?

La risposta onesta è: dipende da chi sei.

  • NO, se cerchi una rendita passiva, sicura e garantita come lo era per le generazioni passate. Se pensi di mettere i soldi, delegare la gestione e passare a ritirare l’utile a fine anno, rischi di bruciare il capitale in tempo record. I margini sono troppo sottili e la gestione troppo complessa per permettersi di essere investitori “dormienti”.
  • , se sei un farmacista con spirito imprenditoriale (o un investitore che si associa a uno bravo) e hai la liquidità per comprare senza soffocare di debiti. Oggi si compra a prezzi di saldo (ricordi lo 0,8 sul fatturato?), e per chi ha la visione di trasformare una vecchia bottega polverosa in un moderno centro servizi, i margini di crescita ci sono.

Ma bisogna essere chiari: non stai comprando un titolo nobiliare. Stai comprando un’azienda commerciale in un settore iper-competitivo, regolato da uno Stato che taglia i fondi e assediato dalle multinazionali.

La “miniera d’oro” è chiusa. Ora si scava in miniera come tutti gli altri. La domanda vera che devi farti non è quanto rende la farmacia, ma quanto sei disposto a sporcarti le mani per farla rendere.


E tu? Hai mai notato la differenza di prezzo tra la farmacia sotto casa e gli store online? Pensi che il valore del consiglio umano valga ancora quel sovrapprezzo, o il portafoglio vince su tutto?

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