Immagina un mondo a tassi zero, un deserto di rendimenti dove ogni decimale di interesse sembra un’oasi. In questo scenario, una quindicina di anni fa, uno strumento finanziario si è affacciato sul mercato italiano promettendo ciò che sembrava impossibile: un flusso cedolare generoso, spesso superiore al 5%, proveniente da titoli di stato. Non titoli qualsiasi, ma bond di paesi emergenti, il motore della crescita globale. Per molti risparmiatori, l’ETF iShares Emerging Markets Local Government Bond (Ticker: SEML, ISIN: IE00B5M4WH52) non era solo un’opzione; era la risposta.
Quello che segue non è solo l’analisi di un ETF. È il racconto di un’odissea decennale, vissuta da migliaia di investitori italiani sui forum online e sui social media. Una storia di speranze iniziali, di amare delusioni, di calcoli fiscali da incubo e di una domanda che, ancora oggi, risuona con la stessa urgenza: l’ETF SEML è un’opportunità incompresa o, come l’ha definito senza mezzi termini un investitore frustrato, un “pattume galattico”?

Il Peccato Originale: Quella “Valuta Locale” che Nessuno Voleva Vedere
Per comprendere il dramma di SEML, bisogna partire dal suo DNA, da quell’etichetta apparentemente innocua: “Local Government Bond”. Molti, all’inizio, hanno letto “bond emergenti” e hanno pensato a un investimento diversificato sui debiti sovrani di nazioni in crescita, con il rischio mitigato dalla solidità di un emittente come iShares. Ma la chiave, il veleno, era nascosta in quelle due parole: valuta locale.
L’investimento non era semplicemente in bond brasiliani, turchi o sudafricani. Era un investimento in Real, Lire Turche, Rand e Rubli. Per un risparmiatore europeo, il meccanismo sembrava contorto ma gestibile. Le discussioni online pullulavano di formule per spiegare l’esposizione: (Valute Locali / USD) * (USD / EUR) si semplifica in Valute Locali / EUR. In teoria, il dollaro era solo una valuta di transito, un dettaglio tecnico.
Ma la pratica si è rivelata brutale. Il vero nemico non era il dollaro; era l’erosione costante delle valute locali stesse. Come ha fatto notare più di un osservatore nel corso degli anni, molti di questi paesi usano la svalutazione competitiva come politica economica strutturale. Per rendere le loro esportazioni più attraenti e sostenere il PIL, lasciano che la loro moneta si indebolisca. È un film che noi italiani conosciamo bene, un copione scritto ai tempi della Lira. Il risultato? Un capitale investito in queste valute era come un cubetto di ghiaccio lasciato al sole. Le generose cedole erano spesso insufficienti a compensare la perdita di valore del sottostante. Questa dinamica è il cuore della delusione di SEML: un rendimento apparente che nascondeva una sistematica distruzione di capitale.

La Spada di Damocle: Tapering, Tassi USA e l’Effetto Fuga
Come se non bastasse la debolezza intrinseca delle valute, l’ETF SEML ha dovuto navigare in un contesto macroeconomico globale perennemente ostile. Fin dal 2013, una parola riecheggiava nei dibattiti come un presagio di sventura: “tapering”. La fine del quantitative easing da parte della Federal Reserve e la prospettiva di un rialzo dei tassi d’interesse americani rappresentavano una minaccia mortale.
Il motivo è legato a un fenomeno noto come carry trade: per anni, gli investitori si sono indebitati a tassi quasi nulli in dollari per poi investire in asset ad alto rendimento, come i bond emergenti. Ma quando la FED ha iniziato a parlare di normalizzazione, il gioco si è rotto. La paura di un dollaro più forte e più remunerativo ha scatenato una massiccia fuga di capitali dagli emergenti, facendo crollare le loro valute e, di conseguenza, il valore di SEML.
Questo ciclo si è ripetuto più volte. Ogni volta che la FED accennava a una stretta monetaria, SEML tremava. Gli investitori si sono trovati intrappolati in uno strumento che non solo soffriva per le debolezze dei singoli paesi del paniere (le crisi in Russia, le turbolenze politiche in Turchia, la recessione in Brasile), ma che era anche ostaggio delle decisioni prese a Washington. Era, a tutti gli effetti, un investimento con il vento costantemente contro.

L’Anatomia di una Cedola: Calcoli, Tasse e la Frustrazione degli Investitori
Per molti, l’unica ancora di salvezza era il dividendo. Quella cedola semestrale, pagata a gennaio e luglio, è diventata un’ossessione per la community. Le discussioni online si sono trasformate in un vero e proprio servizio di pubblica utilità, dove i risparmiatori si aiutavano a vicenda per decifrare un flusso di reddito tutt’altro che trasparente.
Il primo shock è stato scoprire che la cedola, per quanto generosa, non è mai un regalo. A differenza di un’obbligazione singola quotata a corso secco, un ETF a distribuzione come SEML sconta il valore del dividendo direttamente dal suo prezzo. Il giorno dello stacco, il NAV (Net Asset Value) scende di un importo pari alla cedola. Molti investitori alle prime armi hanno imparato questa dura lezione vedendo il valore delle loro quote precipitare proprio il giorno in cui si aspettavano di “incassare”.
Il secondo, e forse più estenuante, calvario è stato quello della tassazione del dividendo di SEML. Essendo un paniere di titoli di stato, alcuni appartenenti a paesi in “White List” (con tassazione agevolata al 12,5%) e altri no (tassati al 26%), l’aliquota finale era un mix ponderato. Il problema? Ogni banca sembrava applicare una regola diversa. Per anni, i forum si sono riempiti di post di utenti che confrontavano i loro accrediti netti, scoprendo differenze abissali. “A me Unicredit ha applicato il 18%!”, “Fineco il 16,05%”, “Directa prima ha sbagliato, poi ha corretto al 15,08%”. Un vero e proprio incubo burocratico che ha costretto molti a interminabili reclami per recuperare pochi euro, spingendo alcuni a cambiare intermediario per la disperazione.
Infine, il dividendo stesso è diventato un indicatore della salute (o della malattia) del fondo. Dai picchi di quasi 3 dollari per quota di un decennio fa, gli stacchi sono diventati sempre più “magri”, riflettendo la svalutazione delle valute sottostanti.

SEML vs. IEMB: La Fuga verso il Dollaro e le Alternative
Di fronte a un andamento così deludente, la domanda è sorta spontanea: esistono alternative? Il confronto più acceso è stato senza dubbio quello tra SEML vs IEMB (iShares J.P. Morgan $ EM Bond UCITS ETF). Se SEML investe in valuta locale, IEMB investe in bond degli stessi paesi ma emessi direttamente in dollari USA.
La differenza è sostanziale. Con IEMB, il rischio cambio è “limitato” alla sola coppia Euro/Dollaro. Negli anni di rafforzamento del dollaro, IEMB ha sovraperformato SEML in modo imbarazzante. Questo ha portato molti a concludere che, se si vuole esposizione agli emergenti, tanto vale prenderla nella valuta forte, il dollaro, piuttosto che in un paniere di “pizze di fango” e “cartastraccia”.
Altri hanno guardato a SPDR, con l’ETF EMLD, il cui indice di riferimento aveva una composizione diversa, percepita come meno esposta ai paesi più problematici. La ricerca di un’alternativa è diventata una strategia di sopravvivenza per chi, ormai disilluso, voleva rimanere nel settore ma con un profilo di rischio più comprensibile. La scelta si è ridotta a una scommessa: credi in un rimbalzo delle valute locali o preferisci affidarti alla solidità (o alla volatilità) del dollaro? Per molti, la risposta è stata la seconda.

Il Verdetto Finale: Conviene Ancora Investire nell’ETF SEML?
Dopo oltre dieci anni di montagne russe, il verdetto su SEML è impietoso. Per un investitore con un’ottica di medio-lungo periodo, il total return è stato praticamente nullo. Le generose cedole sono state quasi interamente annientate dall’erosione del capitale dovuta alla svalutazione delle valute. Chi ha comprato sui massimi del 2012-2013 si trova oggi con una perdita che nemmeno anni di dividendi sono riusciti a colmare.
È uno strumento che ha tradito la sua natura percepita di “obbligazionario”. La sua volatilità e la sua sensibilità agli shock globali lo avvicinano più a un investimento azionario rischioso che a un componente stabilizzante di un portafoglio.
Eppure, la discussione non si è mai spenta. C’è sempre chi, vedendolo sui minimi storici, si chiede se non sia arrivato il momento di entrare, scommettendo su un’inversione di quel trend decennale. Forse, con l’emergere di un nuovo ordine mondiale multipolare e la potenziale fine dell’egemonia del dollaro, queste valute potrebbero trovare una nuova forza.
Ma questa è, appunto, una scommessa. E forse la più grande lezione che l’odissea dell’ETF SEML ci ha insegnato è proprio questa: bisogna sempre guardare sotto il cofano di ciò che si compra. Un rendimento elevato nasconde quasi sempre un rischio altrettanto elevato. Ignorarlo non è una strategia, ma solo un invito al disastro. SEML non è intrinsecamente “cattivo”; è semplicemente uno strumento complesso, ad altissimo rischio, che è stato venduto e percepito come qualcosa che non era. E la differenza, come hanno imparato a loro spese migliaia di risparmiatori, è tutta qui.